Lawrence Osborne, "La ballata di un piccolo giocatore", Adelphi

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Lawrence Osborne, "La ballata di un piccolo giocatore", Adelphi


 L'attrazione che provo per il mondo del gioco d'azzardo - con i suoi isterismi, le sue meschinità, la vena demoniaca da quattro soldi che lo percorre, e la tragica ottusità dei suoi protagonisti - è sempre stata molto scarsa, prossima allo zero direi.
 Eppure ho trovato questo libro degno di interesse, non solo per la capacità di analisi della psicologia del giocatore al centro della vicenda raccontata, ma anche per la potenza icastica delle situazioni rappresentate e per l'originale sviluppo della trama.
 La ballata di un piccolo giocatore è la storia di un ex avvocato inglese rifugiatosi nel porto franco di Macao dopo la scoperta della truffa da lui operata ai danni di una anziana, ricchissima vedova di un grosso imprenditore senza scrupoli, il cui patrimonio era gestito dallo studio legale per il quale l'uomo lavorava.
 Di fatto, a Macao, il protagonista vive come un prigioniero: può spostarsi con il traghetto fino a Hong Kong ma, inoltrandosi nel territorio cinese, rischierebbe di essere catturato ed estradato per via delle accuse che pendono su di lui. Grazie alla notevole quantità di denaro che ha rubato e trasferito tempo prima nel paradiso fiscale che è diventato il suo rifugio, però, può dedicarsi quasi da professionista alla passione per il gioco d'azzardo che ha sviluppato. I giorni - e le notti - dell'uomo trascorrono fra un casinò e l'altro di Macao, ai tavoli dove si pratica il Baccarat, la disciplina nella quale il vantaggio del banco è statisticamente meno significativo; la sua distinzione e i guanti di tela che indossa quando gioca hanno fatto sì che si diffondesse la voce che egli sia un misterioso nobile inglese conosciuto nelle bische di mezzo mondo: così, per tutti, è diventato Lord Doyle.
 L'atmosfera che regna nei grandi casinò di Macao è terribilmente opprimente: sullo sfondo di scenari posticci basati su temi storici o pseudostorici (l'antichità classica, l'Egitto dei faraoni, l'Italia rinascimentale, un futuro fantascientifico sul modello di Guerre Stellari) sviluppati in maniera indescrivibilmente kitsch, si muovono personaggi spesso caratterizzati da una volgarità impressionante (proprietari di fabbriche che producono graffette, bamboline o piccoli oggetti in plastica), arricchitisi da un giorno all'altro e capaci di rovinarsi in una sera per inseguire ingenue chimere, soggiogati dalla propria stessa irrazionale avidità; ludopatici che passano da un tavolo all'altro in uno stato di perenne catatonia, blanditi da croupiers e camerieri che esibiscono il lusso più sfacciato e specioso.
 In questo ambiente particolarissimo, Lord Doyle riconosce la realizzazione di uno dei peggiori incubi elaborati dalla tradizione cinese, quella specie di girone infernale che è il "mondo degli spiriti affamati": una bolgia in cui la punizione dei dannati è determinata dal loro stesso insaziabile anelito nei confronti del denaro - o dall'insopprimibile ricerca del brivido del gioco. A questa seconda categoria di "affamati" sa di appartenere Lord Doyle che, nonostante le sue sostanze non siano così consistenti da permettergli di giocare all'infinito, come ogni vero giocatore, trova nella perdita di quanto ha puntato una soddisfazione pari, se non maggiore, di quella che gli dona una vincita. 

Lawrence Osborne

 La narrazione condotta in prima persona e la totale pervasività della focalizzazione interna trasmette al lettore in maniera violenta l'ardore della febbre di cui soffre il protagonista, e la sensazione soffocante di chiusura in un labirinto fatto di condizionamenti mentali da cui è difficilissimo sfuggire.
 L'epilogo inevitabile a cui sembra destinato Lord Doyle è la rovina totale: la perdita del patrimonio, l'espulsione da Macao, lo spettro del rimpatrio in Inghilterra, il carcere o, in alternativa, il suicidio. L'uomo arriva vicinissimo al disastro quando, in una serata più sfortunata delle altre, in un accesso di follia, si gioca tutto quello che ha contro una vecchia, spietata, agiatissima ludopatica, ben nota ai tavoli dei casinò di Macao, "la Nonna"; e perde.
 Ridotto sul lastrico, Lord Doyle si imbarca su un traghetto per Hong Kong con l'intenzione di buttarsi in mare durante il tragitto; non trovando il coraggio o la determinazione necessaria per compiere il gesto estremo, si chiude in uno sfarzoso ristorante, ben sapendo di non essere in grado di pagare il conto salatissimo per le sue ordinazioni. A questo punto, però, del tutto inopinatamente, viene in suo soccorso Dao-Ming, una giovane prostituta cinese incontrata per la prima volta qualche giorno prima. La ragazza, con la quale l'uomo aveva trovato nel corso dell'unica notte passata con lei una singolare sintonia, intuisce le sue difficoltà quando gli viene chiesto di saldare le sue consumazioni, paga il conto per lui, e lo porta stremato e febbricitante in casa sua, per curarlo, accudirlo, fantasticare sullo sviluppo di un impossibile idillio.
 Alla prima occasione, però, tradendo tutti i propri buoni propositi, e l'affetto e la compassione che ha cominciato a nutrire per Dao-Ming, Lord Doyle sottrae di nascosto alla ragazza tutti i suoi risparmi per tornare al tavolo da gioco, schiavo del suo demone. L'uomo ripete a se stesso che si tratta solo di un prestito, pur sapendo perfettamente che non restituirà mai il denaro a Dao-Ming, e che perderà tutto con poche mani di Baccarat.
 La cosa incredibile è che, da quel giorno, pur facendo puntate assolutamente spregiudicate, comincia a vincere senza fermarsi più: inanella infatti una serie impressionante di "naturali" (cioè di 9, il massimo punteggio totalizzabile nel Baccarat), accumula una fortuna di milioni e diventa, in tutti i casinò di Macao, un vero mito, rispettato e temuto, quasi circonfuso da un'aura soprannaturale, accresciuta dall'inclinazione di tutti i cinesi per quel tipo particolare di pensiero magico che tende a rifiutare l'occorrenza di pure e semplici coincidenze nel determinare la fortuna di un individuo.
 E tuttavia, l'epilogo della vicenda del fuoriuscito inglese è ugualmente tragica: nel momento in cui Lord Doyle - placato finalmente l'istinto del giocatore - torna a cercare Dao-Ming con l'intenzione di restituirle tutto quello che le ha sottratto, e con la vaga idea di abbandonare il gioco d'azzardo per costruirsi una vita nuova con la ragazza, scopre che la giovane prostituta si è impiccata alcuni giorni prima. Che il motivo del suicidio sia il furto subito? Il libro si conclude lasciando aperto questo angoscioso interrogativo, mentre per Lord Doyle tutto l'orizzonte intorno si affusola in un pozzo di cupezza infinita.
 Nella sua tossica negatività, nel suo sinuoso sviluppo, nel suo disperato epilogo, il romanzo è un perfetto esempio di magistrale resa letteraria di una realtà complessa, poco conosciuta e difficile da descrivere: qualcosa tra Buzzati, Landolfi e Nabokov.

Voto: 6,5


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