Donatella Di Pietrantonio, "L'Arminuta", Einaudi

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Donatella Di Pietrantonio, "L'Arminuta", Einaudi


 L'Arminuta, in dialetto abruzzese, significa "la ritornata". E' questo il soprannome che viene affibbiato dalla gente di un piccolo paese dell'entroterra alla tredicenne che, nel tardo pomeriggio di una giornata di agosto del 1975, viene riportata alla sua famiglia d'origine dall'uomo che ella ha fino a quel momento considerato suo padre, e che insieme alla moglie Adalgisa l'ha cresciuta lontano da lì, nella loro bella casa in una città affacciata sul mare.
 Adalgisa e suo marito, un ufficiale dei Carabinieri, l'avevano presa con sé alla nascita d'accordo con i genitori biologici, loro parenti alla lontana, troppo poveri per poter allevare anche quella bambina insieme agli altri tre figli maschi avuti prima di lei, e comunque troppo rozzi e privi dei mezzi necessari per poterle dare un'educazione degna di questo nome. Del resto Adalgisa, a cui i soldi non mancavano, ma che non riusciva ad avere figli, aveva sempre sognato una bimba sua...
 Ora, però, qualcosa è cambiato: forse Adalgisa si è ammalata - nelle ultime settimane ha passato quasi tutte le giornate sdraiata a letto -, e la coppia ha dovuto restituire la ragazzina alla madre naturale.
 Per l'Arminuta, l'ingresso nella sua nuova casa è traumatico: nessuno ha pensato a prepararle un posto dove possa dormire, ed è così costretta a dividere il letto con la sorella minore Adriana (che con Giuseppe, un bambino disabile di soli due anni, nel frattempo si è aggiunta alla truppa dei tre fratelli maggiori, a loro volta stanziati nell'unica camera disponibile per tutti i ragazzi); quella che le dicono essere la sua vera madre ha modi spicci, e si esprime quasi solo in dialetto, usando espressioni che a lei, che è sempre stata la prima della classe e parla un italiano da manuale, sono sostanzialmente estranee; il padre, uomo di fatica presso una fornace poco lontana, addirittura non apre mai bocca.
 Soprattutto, nessuno ha provveduto a spiegarle il perché di questo trasferimento, né a dirle quanto durerà questa situazione, e quando potrà tornare in quella che si ostina a considerare la sua famiglia autentica.
 Per fortuna con Adriana, che - per quanto sia un poco grossolana e abbia per giunta l'abitudine di bagnare il letto di notte - è una bambina schietta, sveglia e vivace, si consolida un bel rapporto; e poi c'è Vincenzo, il fratello maggiore, che la guarda in un modo che la turba e la confonde, come se fosse già una donna, tanto che lei fatica a credere che sia davvero suo fratello.
 Il processo di adattamento della protagonista alla nuova condizione, in realtà, sarà lungo e complicato, e ancora più lunga e dolorosa sarà l'elaborazione del trauma del singolare, doppio abbandono che ha dovuto subire; anche perché la verità sul suo ritorno alla famiglia di origine, quando ne verrà a conoscenza, la lascerà senza fiato.

 Donatella Di Pietrantonio

 L'Arminuta, infatti, è stata riaffidata ai suoi genitori naturali perché quella che considerava la sua famiglia di riferimento non c'è più: Adalgisa ha lasciato suo marito, responsabile dell'infertilità della coppia, e ha intrecciato una relazione con un altro uomo, conosciuto presso la Parrocchia che frequentava quotidianamente, di cui è subito rimasta incinta e da cui ha avuto un bel bambino, questa volta davvero tutto suo.
 Ma la ragazza, scoprendo dentro di sé una forza che non avrebbe mai sospettato di avere, saprà affrontare tutte le difficoltà che la vita le propone (alle quali si aggiunge la tragica, inattesa morte di Vincenzo): imparerà ad apprezzare quel poco che i suoi veri genitori possono darle, scoprirà un mondo di affetti e di valori diverso da quello a cui era abituata ma non per questo meno appagante, e riuscirà a inchiodare Adalgisa alle sue responsabilità, pretendendo che continui a finanziare non solo i suoi studi, ma anche quelli di sua sorella Adriana, la sola vera àncora di salvezza nel naufragio famigliare che è costretta a subire.
 La bellezza di questo romanzo sta tutta nell'abilità dell'autrice nella gestione del punto di vista: la voce narrante, infatti, è quella della protagonista cresciuta, che ha superato tutte le prove che ha incontrato sul suo cammino, è riuscita a completare il ciclo scolastico (come ha fatto pure sua sorella Adriana), ed ha acquisito la maturità intellettuale ed emotiva necessaria per ripercorrere la sua storia e per considerarla con equilibrio nei suoi diversi momenti; e tuttavia, il punto di vista prevalente nel corso della narrazione è quello dell'Arminuta appena tredicenne, che interiorizza tutto quello che le succede con gli strumenti razionali, emotivi e linguistici che ha a disposizione a quell'età.
 Così il lettore, pur sapendo che alla fine ci sarà qualche forma di salvezza, è chiamato ad attraversare mano nella mano con lei il suo personalissimo inferno, a vivere il suo smarrimento, le sue paure, le sue angosce, le sue rabbie, le sue speranze.
 Tutto questo è filtrato attraverso un linguaggio molto misurato, in cui il realismo vernacolare del dialogato convive con la lineare semplicità del dettato narrativo, evitando la tentazione narcisististica - propria di troppi scrittori italiani - di una commistione espressionistica di registri fine a se stessa, e non giustificata da motivi referenziali o poetici.
 Il risultato è un libro di grande coerenza letteraria e senza sbavature dal punto di vista stilistico.

Voto: 7   


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