Giana Marina Petronio Andreatta, "E' stata tutta luce", Bompiani

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Giana Marina Petronio Andreatta, "E' stata tutta luce", Bompiani


  Come spiega l'autrice nell'introduzione, questo è un libro di memorie; per la precisione, si dovrebbe collocare all'intersezione fra quelle che gli inglesi chiamano trash memories (ovvero memorie di fatti minuti e quotidiani, che scorrono accanto ai grandi eventi della Storia) e le rising memories, riguardanti il riemergere di ricordi di fatti temporaneamente dimenticati ma non del tutto tramontati, soltanto annidati da anni in qualche remota regione del nostro inconscio.
 In realtà, nel fluire della narrazione, diventa difficile sia distinguere un primo e un secondo piano nei livelli di coscienza dei ricordi, sia definire una gerarchia che decreti l'ordine di importanza degli eventi raccontati, perché, nella lunga vita in comune di Giana Marina e di Nino Andreatta, ragione e sentimento, sostanza e apparenza, pubblico e privato tendono a intrecciarsi e a convivere delineando la storia del loro matrimonio.
 Piuttosto, in questa storia, sono inevitabilmente ben chiari due tempi, un prima e un dopo, separati dalla terribile cesura rappresentata dall'ischemia del 15 dicembre 1999 che ridusse Andreatta al coma profondo per anni, fino alla sua morte biologica (avvenuta nel marzo del 2007). I due tempi non scandiscono due momenti successivi della narrazione - che anziché seguire un ordine cronologico privilegia "l'ordine interiore dei sentimenti" -, ma definiscono due periodi esistenziali, quelli che per l'autrice sono il tempo della gioia e il tempo della gratitudine, a cui alternativamente si ritorna per ricostruire, perfino dietro il velo opaco e avvilente del dolore, la fitta trama di un amore. Perché in quell'amore, così come nella vita di Andreatta, agli occhi di sua moglie, non c'è stato - per usare le parole di Ada Gobetti a proposito di Piero - "nulla di laido di imperfetto di malsicuro. E' stata tutta luce...".
 Giana Marina Petronio e Beniamino (detto Nino) Andreatta si conobbero all'Università Cattolica di Milano nel 1957. Lei era una studentessa diciannovenne di buona famiglia e di origine triestina, lui - di dieci anni più grande - un giovane, brillante assistente del professor Francesco Vito alla Facoltà di Economia: un bel ragazzo alto di origine trentina, figlio di un ricco banchiere, "dagli occhi giotteschi" e dal luminoso avvenire.
 Il corteggiamento fra i due fu lungo, discreto, timido, quasi reticente: una teoria di inviti a teatro, uscite a cena, viaggi di lavoro, sempre in compagnia di qualcun altro, sempre alloggiando in alberghi diversi, secondo i costumi e il senso del decoro dell'epoca.
 Il terreno di coltura del loro rapporto fu costituito da tutto ciò che definiva il background socio-culturale della borghesia milanese degli anni cinquanta e sessanta per lo più di matrice cattolica, moderata, pragmatica: buoni libri, buona musica, ottimi spettacoli, amicizie sceltissime e frequentazioni selezionate all'insegna del buon gusto; questo, sebbene lei venisse da una famiglia politicamente conservatrice e legata a una visione tradizionalista del cattolicesimo, lui da una famiglia tendenzialmente cattolico-progressista.
 La proposta di matrimonio - per via curiosamente indiretta - venne solo nel 1961, quando a Nino fu proposto un incarico della durata di un intero anno accademico a New Delhi, per conto del Mit, in qualità di consulente economico presso la Planning Commission del Governo Nehru. Il contratto prevedeva la possibilità di essere accompagnati da un'altra persona, segretaria o moglie: proponendo a Giana Marina di affrontare con lui quell'avventura, Nino, praticamente, le chiese di sposarlo.

Giana Marina Petronio Andreatta

 Da quel momento cominciò una vita insieme scandita dagli incarichi sempre nuovi e dalle tappe successive della carriera accademica e poi politica di Nino, con l'insediamento definitivo della famiglia Andreatta a Bologna (dove Nino, finalmente professore ordinario in seguito alla vittoria del concorso per la cattedra di Economia Politica, ebbe come assistente Romano Prodi) e la nascita di ben quattro figli. In tutto questo, Giana Marina riuscì a ritagliarsi anche un proprio autonomo percorso professionale, abilitandosi (come era consentito, prima del 1968, anche ai laureati in branche del sapere diverse dalla Medicina) per svolgere l'attività di psicanalista.
 Nel quadro offerto dall'autrice, le vicende politiche che videro Andreatta protagonista non fanno semplicemente da cornice ai fatti della sua vita famigliare, che costituiscono il filo conduttore del racconto; ne sono invece parte integrante, come un ingrediente essenziale per meglio definire la personalità di Nino, e dunque come un elemento determinante per illustrare il suo modo di vivere e di vedere il mondo.
 Si parla così degli albori del suo impegno politico, dal famoso "discorso di San Pellegrino" del 1962 (sulla necessità di un intervento dello Stato per regolamentare la concorrenza, pur salvaguardando la libera iniziativa) alla sua attività come esperto di economia al fianco di Aldo Moro, dagli anni da Ministro del Bilancio e da Ministro del Tesoro sullo scorcio degli anni ottanta (in cui gli toccò affrontare le ripercussioni sulla Banca d'Italia dello scandalo della Loggia P2, decretare la liquidazione del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, denunciare le malefatte dello Ior, cosa che gli costò l'inimicizia di Andreotti e di fatto un lungo ostracismo dalle poltrone che contavano) fino all'ideazione dell'Ulivo all'inizio della Seconda repubblica e all'incarico come Ministro della Difesa nel primo Governo Prodi.
 Credo si possa dire che il pregio principale di questo libro sia la sincerità: è grazie alla sincerità e direi quasi all'immediatezza delle descrizioni di persone, luoghi e cose connesse con gli accadimenti che vengono rievocati - e anche dei sintetici giudizi collegati a queste descrizioni - che possono riemergere dal passato con inedita vivacità le scene quotidiane del ménage famigliare degli Andreatta.
 E' grazie alla sincerità della narrazione che ci si può fare un'idea piuttosto precisa dell'ambiente dal quale Nino Andreatta e sua moglie provenivano - quello privilegiato dell'alta borghesia italiana del secondo dopoguerra - e della mentalità che lo dominava: una mentalità per cui la rispettabilità era l'essenza sociale dell'individuo, la ricerca della distinzione era il suo più alto obiettivo, e ineludibile era il senso di appartenenza alla propria classe sociale; una mentalità per cui la ricchezza, la raffinatezza, l'eleganza, il decoro, il rispetto della gerarchia erano fra i più alti valori.
  E quanto c'è di antipatico in tutto questo finisce per far apprezzare ancora di più la lungimiranza, la razionalità e la consapevolezza del pensiero economico-sociale tramandatoci dagli scritti e dall'azione politica di una delle più intelligenti personalità che il centrosinistra italiano abbia prodotto.

Voto: 6+  


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